Drop Down MenusCSS Drop Down MenuPure CSS Dropdown Menu

mercoledì 29 marzo 2017

Una strada medioevale

Nel 1738 il duca Francesco III d'Este, su pressioni asburgiche, diede il via ai lavori di costruzione di una grande arteria transappenninica che doveva collegare Modena a Massa, in prospettiva dell'imminente matrimonio del figlio Ercole con Maria Teresa Cybo-Malaspina, foriero per il Ducato Estense dell'ambito sbocco al mare. Terminale ideale della nuova via era infatti il Porto dell'Avenza, considerato una succursale del ben più importante porto franco di Livorno. A sovrintendere alla realizzazione dell'ambizioso progetto fu chiamato lo scienziato, ingegnere e matematico Domenico Vandelli. I lavori si protrassero sino al 1751, con un'interruzione di sei anni dovuta all'invasione austro-sarda dei territori estensi conclusasi con la pace di Aquisgrana del 1748. Numerosi furono gli ostacoli incontrati, sia di carattere geografico che politico. Era anzitutto necessario evitare lo sconfinamento del percorso nei territori contermini dello Stato Pontificio, della Repubblica di Lucca e del Granducato di Toscana. Questa contingenza costrinse ad adottare un tracciato impegnativo, per lo più di crinale, che prevedeva il superamento del valico del Passo delle Radici e del Monte Tambura, e l'attraversamento delle Alpi Apuane. Le molteplici difficoltà indussero l'ingegner Vandelli ad adottare soluzioni innovative per l'epoca, come l'introduzione delle curve di livello per cartografare nel dettaglio l'area interessata, o la realizzazione di ampi spiazzi artificiali intagliati nella roccia, ancor'oggi denominati con la locuzione di Finestra Vandelli. A tal proposito, non possiamo dimenticare che proprio intorno alla metà del XVIII si assiste al passaggio dal trasporto someggiato al trasporto su carri, segnato ad esempio dalle coeve costruzioni della Trieste-Lubiana-Vienna e della Susa-Chambery. Per rispondere alle mutate esigenze, la via fu dotata di poste, osterie e di un servizio di corriere a cavallo o “procaccio”. La sua fortuna però durò poco. Il tracciato, particolarmente impervio a ridosso dello spartiacque appenninico, e le elevate altitudini che esponevano la strada agli agenti atmosferici e a frequenti frane determinarono un precoce abbandono dell'arteria a favore della nuova strada Giardini-Ximenes che deviava verso Pistoia. Nonostante questo, la via che prese poi il nome dal proprio progettista, deve essere considerata la prima strada carrozzabile italiana logisticamente gestita e a tempo stesso una realizzazione d'avanguardia nel panorama ingegneristico europeo. Attualmente, nei tratti ancora conservati, rappresenta un grandioso esempio di archeologia stradale anche se nel complesso le condizioni di degrado, se non addirittura di abbandono, prevalgono di gran lunga. Gli interventi di restauro del recente passato, concentratisi nel tratto massese ma non supportati da adeguata manutenzione, non hanno risolto, se non temporaneamente, le difficoltà di accesso ad alcune delle aree più significative, come il passo del Monte Tambura.
A ciò si accompagna l'inadeguatezza della segnaletica culturale, che rende in più punti assai difficoltoso il riconoscimento del percorso della via.
Fonte: http://www.archeobologna.beniculturali.it

Nessun commento:

Posta un commento