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lunedì 7 dicembre 2015

...e a Natale naturalmente caplet

«Il giorno di Natale - si legge in un rapporto napoleonico del 1811 redatto dall'allora prefetto di Forlì Leopoldo Staurenghi - ogni famiglia si fa una minestra di pasta col ripieno di ricotta, che chiamasi cappelletti.
Di una minestra «composta di ricotta, formaggio, uova e aromi, il tutto avvolto in pasta detta spoglia da lasagne» parla nel 1818 il forlivese Michele Placucci nel suo «Usi e pregiudizi de' contadini della Romagna». Sono dunque almeno due secoli che i cappelletti costituiscono uno dei tratti distintivi della Romagna. Cappelletti, dunque, ma qual è la ricetta giusta? Perché su come farli la Romagna si divide: basta spostarsi da un paese all'altro per mangiare cappelletti - tutti ottimi, per carità - diversi fra loro. La sola a non cambiare è la sfoglia, che dev'essere di farina di grano tenero, uova e acqua, né troppo morbida né troppo soda, omogenea e consistente. È sul contenuto del classico involtino, e batù, che le soluzioni diventano tante. UN PRIMO DILEMMA “CARNE SÌ, CARNE NO”
Escludendo i tortellini bolognesi, che sono altra cosa, nel ravennate e nel cesenate prevale e batù di soli formaggi: forma, ovviamente, con l'aggiunta di un formaggio morbido che può essere la ricotta, il tomino, il raveggiolo o la casatella. Mentre invece nel forlivese e nel riminese si utilizzano anche carni leggere: petto di cappone, vitello, lonza e mortadella. - Noce moscata sempre e poco sale, poiché la forma di per sé fornisce sapidità al composto.
Fonte: http://alfonsinemonamour.racine.ra.it/

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