Il rapporto dei frati camaldolesi con le foreste
casentinesi è ancora più antico di quello di San Francesco, risale
infatti al 1012, quando il fondatore dell’ordine, San Romualdo da
Ravenna, eresse un piccolo eremo (appena un oratorio con cinque
celle) e, in seguito, nel 1027, l’ospizio per i pellegrini, su cui nel XVI
secolo venne edificato l’odierno monastero.
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Ancora oggi, separata dall’eremo e sita poco più a valle, si può
visitare e ammirare l’antica Farmacia dell’eremo, ripristinata nel 1513
in seguito alla distruzione dovuta a un incendio ed ancora attiva, i cui
arredi sono magistralmente realizzati in castagno massiccio locale.
Fin dal loro insediamento nella foresta, i frati fecero della cura del
bosco una delle loro principali attività. Si deve a loro la formazione di
vere e proprie abetine (foreste di abete bianco), per l’alto valore
commerciale attribuito al legname ricavato da questi boschi.
È il caso di ricordare che proprio da queste foreste veniva ricavato il
legno per il cantiere della fiorentina Opera del Duomo, così come per
la costruzione delle flotte di Pisa e Livorno.
La foresta nei secoli ha sempre determinato la natura economica
degli insediamenti umani, basti pensare allo sfruttamento intensivo
nel XIX secolo per ottenere carbone vegetale (notevole è stato il
rimboschimento nel corso del Novecento) e all’artigianato legato al
legno, tuttora attivo.
Già dal 1286 gli Annali camaldolesi – pubblicati a Venezia sul finire
del XVIII sec. – documentano nel borgo di Badia Prataglia l’esistenza
di un “ricco artigianato”.
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