Nel cuore dell’ appennino emiliano, a 1317 metri di quota, nella splendida valle di Lamola, sorgeva nel 1930 per opera del Corpo Forestale dello Stato una struttura in sasso che doveva servire come ricovero e base operativa per quanti lavoravano nel progetto di rimboschimento della vallata. Risalgono infatti a quell’ epoca alcuni importanti provvedimenti governativi tesi a creare occupazione nel tentativo di contrastare la massiccia emigrazione degli abitanti locali alla ricerca di lavoro e di condizioni di vita meno ostili.
La valle di Lamola, comunemente chiamata di Ospitale, vanta una storia antichissima e affascinante. Popolata dai romani e dai celti e da popolazioni della pianura che fra le aspre montagne trovavano rifugio dalle invasioni barbariche, divenne fino al 748 proprietà del re Longobardo Astolfo il quale la donò al cognato Anselmo ( che poi divenne Sant’ Anselmo). Anselmo, constatando la povertà estrema degli abitanti della zona istituì per tutti i residenti delle quattro frazioni della valle ( Ospitale, Serrazzone, Fellicarolo e Canevare ) un diritto perpetuo di utilizzo gratuito dei frutti del sottobosco, dei pascoli e della legna. Tale diritto, chiamato Uso Civico, esiste ancora ed oltre ad una importanza economica per la popolazione, esprime tutta la forza di un legame così antico fra la valle e le sue genti. Anselmo fondò poi un ospedale per garantire cure e assistenza ai pellegrini che, attraverso i passi della Croce Arcana e della Calanca andavano verso Roma o venivano da Roma in direzione di Santiago da Compostela. Il nome di Ospitale che tuttora ha il paese e la sua chiesa intitolata a S. Giacomo ( Santiago ) ne rendono viva ed importante testimonianza. Anselmo fondò poi, nel 752 l’importantissima abbazia di Nonantola. Da qui il nome di via Romea-nonantolana, una importante via di comunicazione che, passando da Ospitale collegava Nonantola con la Capitale che ancora oggi costituisce uno dei percorsi più suggestivi della valle.
Nel corso dei secoli molte furono le vicissitudini che cambiarono la situazione politica ed economica della valle. Le soppressioni napoleoniche, l’annessione di questi territori al Ducato di Modena e infine l’unità di Italia, determinarono il susseguirsi di diversi “proprietari”. Attualmente la regione Emilia Romagna possiede circa1200 ettari di superficie compresi fra il crinale 00 e il bosco sottostante che costituiscono parte del Parco regionale del Frignano.
Il nome di Capanna o Capanno Tassoni, proviene da una piccola costruzione preesistente al rifugio, probabilmente un ovile che apparteneva nel 1870 (un rogito ne parla) a un certo Giovanni Tassoni, che, a pochi metri di distanza aveva dato, secondo le usanze, il nome alla località. Nel 1930, quando venne costruito il rifugio, i terreni e i boschi, ora di proprietà della Regione Emilia Romagna, appartenevano alla famiglia modenese dei Conti Forni. La Forestale costruì il fabbricato e un vivaio (ben visibile guardando il rifugio sulla destra ed ora adibito a zona per il campeggio) mediante un contratto di diritto di uso trentennale della superficie interessata. Alla scadenza il proprietario sarebbe rientrato in possesso del terreno e del fabbricato che avrebbe costituito il “canone” corrisposto per l’utilizzo.
Ma quello che doveva essere un ameno luogo di lavoro si trasformò ben presto in un violento teatro di guerra. La vicinanza della linea Gotica, siamo nel 1944, che passava proprio sul crinale in prossimità della Croce Arcana e i tumultuosi movimenti della resistenza non risparmiarono neanche il Capanno Tassoni, che divenne il rifugio di un distaccamento di Partigiani. Tante sono le storie di violenza perpetrate dalle varie forze in campo che si narrano attorno al Capanno.., tante le vittime…
Nel 1960, quando ormai le acque si erano calmate, il Conte Giuseppe Forni si ritrovò proprietario di quello che ora è il rifugio. Le condizioni della struttura erano ovviamente precarie, visto tutto quello che lì era accaduto e, dopo 2 anni di lavori, grazie all’ impegno del fidatissimo guardiaboschi Giuseppe Lolli, venne aperta come bar e ristorante. Prevalentemente si lavorava con i cacciatori. La caccia al passo in quell’epoca era molto diffusa nella zona. Nel 1973 il Conte Giuseppe fece domanda al Comune di Fanano per trasformarlo in rifugio alpino. E così fu.
Risale al 1979 l’acquisto da parte della Regione di tutta la proprietà, con l’intento di istituire il Parco. Anche il rifugio seguì quella sorte. Della sua gestione, valorizzandolo e dandogli la notorietà di cui ora gode se ne occupò la cooperativa La Lumaca. Nel settembre del 2009 un altro cambiamento. Il rifugio viene messo in vendita e la famiglia Forni, nella persona del conte Giulio, figlio di Giuseppe, che aprì il rifugio, lo riacquista e subentra alla gestione.
Il profondo legame sentimentale con questo luogo, con la sua storia e con le genti che prima di noi qui hanno vissuto, sofferto e sono morte per lasciarci una così ricca e bella eredità di storia e di cultura saranno lo spirito con cui, nonostante tutto, si andrà avanti.
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