Diffusi soprattutto nella cucina campagnola di Romagna, sono originari della pianura, precisamente di Lugo di Romagna ed Imola dove si gustavano in brodo di cappone e manzo. In seguito hanno avuto maggior successo serviti asciutti. Il nome, secondo alcuni studiosi, deriva dal latino gargala, cioè trachea. Il taglio prolungato della pasta ricorda la figura di uno strumento allungato tubolare utilizzato anche in medicina per esaminare la gola, la cannula. In dialetto tipicamente imolese garganèl significa esofago.
Una storiella imolese raccontata durante i trebbi serali narra di una brava cuoca che lavorava da anni nella casa patrizia imolese del Cardinale Cornelio Bentivoglio d’Aragona, Legato Ponteficio della Romagna nel 1725. L’arzdora era indaffarata a preparare il pranzo di Capodanno per un certo numero di invitati. Il menu prevedeva i caplett. Dopo aver accuratamente preparato il ripieno, lo mise da parte, impastò la farina con le uova e tirò la sfoglia con il matterello (s-ciadùr). La cuoca, però, si accorse ben presto che aveva esagerato nelle porzioni di ripieno da distribuire sui riquadri di pasta tanto che una buona parte di questi rimasero allineati sulla tavola. Gli ospiti erano già tutti seduti a tavola e, nella difficoltà, di poter trovare il necessario per preparare dell’altro ripieno le venne un’idea. A quei tempi in tutte le case si filava la canapa e se ne tesseva la tela per la biancheria di famiglia. Nel cantuccio della legna, in cucina, prese un fuscello di legno, di quelli che venivano usati per attizzare il fuoco e nella camera attigua un pettine del telaio, un utensile ritenuto molto prezioso tanto da essere dato in dote alle ragazze prossime alle nozze. La cuoca prese allora i quadretti di sfoglia già preparati per i cappelletti e li passò, avvolti nel fuscello, uno ad uno diagonalmente sui denti del pettine.
Da allora, la tradizione di preparare in questo modo i garganéll non si è mai persa.
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