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lunedì 24 settembre 2012

Frutti minori


“Gros cum ‘na pagnoca, stil cum ‘na garnela d’gran, dolz cum e mél, amer cum e fièl – Grosso come la pagnotta, sottile come un chicco di grano, dolce come il miele, amaro come il fiele. Un bel indovinello romagnolo dedicato ad un frutto dimenticato o ai cosìdetti frutti minori come lo è il  melograno. Questi frutti minori propriamente comprendono tutte quelle specie, da secoli coltivate in Italia e un tempo fonte di alimentazione principale, che oggi sono relegate a un ruolo da comprimari. Fra quelli che nel tempo hanno assunto, senza più perderlo, un ruolo economico, da cui discende anche un’ampia reperibilità di mercato, si annoverano fico, kaki e le specie da cui si ricava la frutta secca (noce, nocciolo, mandorlo, pistacchio), insieme con il fico d’India e il nespolo del Giappone, per il quale prevale oggi il ruolo ornamentale. A questa categoria appartiene anche il castagno, annoverato tra i frutti minori ma le cui superfici dedicate vantano ancora estensioni notevoli quanto il valore economico generato dai frutti. Solo negli ultimi anni è stata ripresa la coltivazione di altre specie, il cui peso economico è ancora molto ridotto data la commercializzazione solo locale presso mercatini di paese o sagre gastronomiche: è il caso di azzeruolo, carrubo, corbezzolo, corniolo, cotogno, gelso, giuggiolo, melograno, mirabolano, nespolo selvatico, sorbi.
Fanno invece parte degli usi e delle tradizioni locali altre tipologie di frutti, irreperibili in commercio se non come prodotti già trasformati: è il caso di alchechengi, alloro, ginepro, olivello spinoso, prugnolo, rabarbaro, rosa canina, sambuco. 
Curiosità: Lungo la strada che da Forlimpopoli conduce a Santa Maria Nuova di Bertinoro, nella frazione di San Pietro ai Prati, è possibile osservare in via Prati n° 1863 un melograno (Punica granatum) che ha abbondantemente superato il secolo di vita, bellissimo specialmente nel mese di novembre con i suoi bei pomi rossi granata. 

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