“Gros
cum ‘na pagnoca, stil cum ‘na garnela d’gran, dolz cum e mél, amer cum e fièl” –
Grosso come la pagnotta, sottile come un chicco di grano, dolce come il miele,
amaro come il fiele. Un bel indovinello romagnolo dedicato ad un frutto
dimenticato o ai cosìdetti frutti minori come lo è il melograno. Questi frutti minori propriamente comprendono
tutte quelle specie, da secoli coltivate in Italia e un tempo fonte di
alimentazione principale, che oggi sono relegate a un ruolo da comprimari. Fra
quelli che nel tempo hanno assunto, senza più perderlo, un ruolo economico, da
cui discende anche un’ampia reperibilità di mercato, si annoverano fico, kaki e
le specie da cui si ricava la frutta secca (noce, nocciolo, mandorlo,
pistacchio), insieme con il fico d’India e il nespolo del Giappone, per il
quale prevale oggi il ruolo ornamentale. A questa categoria appartiene anche il
castagno, annoverato tra i frutti minori ma le cui superfici dedicate vantano
ancora estensioni notevoli quanto il valore economico generato dai frutti. Solo
negli ultimi anni è stata ripresa la coltivazione di altre specie, il cui peso
economico è ancora molto ridotto data la commercializzazione solo locale presso
mercatini di paese o sagre gastronomiche: è il caso di azzeruolo, carrubo,
corbezzolo, corniolo, cotogno, gelso, giuggiolo, melograno, mirabolano, nespolo
selvatico, sorbi.
Fanno
invece parte degli usi e delle tradizioni locali altre tipologie di frutti,
irreperibili in commercio se non come prodotti già trasformati: è il caso di
alchechengi, alloro, ginepro, olivello spinoso, prugnolo, rabarbaro, rosa
canina, sambuco.
Curiosità: Lungo la strada che da Forlimpopoli conduce a Santa Maria Nuova di Bertinoro, nella frazione di San Pietro ai Prati, è possibile osservare in via Prati n° 1863 un melograno (Punica granatum) che ha abbondantemente superato il secolo di vita, bellissimo specialmente nel mese di novembre con i suoi bei pomi rossi granata.
Fonte: http://www.ildivulgatore.it
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