335.000 suini neri popolavano, ancora agli inizi del ‘900, le valli e le colline dell’appennino romagnolo e bolognese, a seconda dei luoghi di allevamento venivano chiamate forlivese, faentina, riminese, bolognese, alcuni la definivano più semplicemente come bruna, mora, castagnina o anche solamente romagnola. Solo nel 1942 a Faenza, un convegno di zootecnici ne definì con precisione i caratteri di razza e ne codificò la denominazione: mora romagnola. Maiale antico, di diretta derivazione dal progenitore di molti maiali europei, il sus celticus, che arrivò da queste parti con le invasioni barbariche nel IV e V secolo d.c., adattandosi perfettamente ai nostri habitat ove per secoli ha rappresentato un fondamento dell’economia agricola rurale. Si pensi che le dimensioni dei boschi si misuravano con il numero di suini che erano in grado di nutrire. Nel secondo ‘900 condizioni socio-economiche e soprattutto nuove domande produttive contestualmente alla progressiva intensificazione dell’allevamento suino, portarono ad un crescente e continuo calo della popolazione di mora romagnola;nel 1949 se ne contavano 22.000 capi, per lo più concentrati nell’area del comprensorio dell’appennino faentino, ove resistevano in quanto utilizzate per ottenere quello splendido incrocio da carne che per molti anni fu il “Fumato di Romagna”. Purtroppo la richiesta di carni sempre più magre e di razze sempre più precoci portò la mora romagnola all’oblio e quasi alla sua estinzione. Agli inizi degli anni ’70 se ne sentiva molto raramente parlare in sperduti allevamenti dell’appennino faentino dove rappresentava per romantici allevatori quasi una reliquia del tempo che fu. Comunque il fascino di questa razza ed il ricordo della gran qualità e gusto degli insaccati da essa ricavati non cessò mai di battere nel cuore degli uomini di Romagna. Uno di questi, Mario Lazzari di Faenza, all’alba degli anni ’80 si mise in testa e nel cuore l’idea di recuperare questa razza e quindi iniziò con testardaggine e passione la ricerca degli ultimi esemplari sperduti. Dopo non pochi mesi ebbe finalmente notizie che nell’alta valle del Lamone (appennino faentino) vivevano alcune more romagnole presso l’azienda di un tal Attilio, soprannominato “Attilio degli animaletti”. Da qui cominciò la nota storia di Mario Lazzari e del suo piccolo nucleo in selezione di mora romagnola, quest’allevatore non vedente che comprese, con cultura e sensibilità, che questi ultimi esemplari di mora erano un patrimonio di tutti e che era giusto conservarli.
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