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giovedì 19 maggio 2011

La Via Flaminia minore

Sul crinale fra l'Idice e il Quaderna e poi, più a sud, il Sillaro, con inizio sulla via Emilia presso il ponte dell'ldice, correva nel Medioevo una strada che si dirigeva verso il Mugello orientale e la val di Sieve, per giungere, da un lato, a Firenze, oppure, dall'altro, ad Arezzo, comunemente chiamata nei documenti medievali Fiamenga o Flamegna o simili. Questo nome così particolare, dotato di una persistenza secolare, dal momento che lo si ritrova dal 1105 fino al catasto del 1924 in vari punti del crinale, ha fatto pensare che si trattasse della via che ereditava percorso e funzione della strada romana tracciata fra Bologna e Arezzo dal console Gaio Flaminio nel 187 a.C.1 , nello stesso anno in cui il suo collega al consolato Marco Emilio Lepido tracciava quella che si chiamerà poi e fino ad oggi via Emilia.
Nel Medioevo questa strada fu costellata di fondazioni religiose che svolgevano attività di cura e di assistenza ai viandanti, a cominciare dall'ospedale di S. Giacomo dell'ldice, ricordato fin dall'inizio del XII secolo e ancora esistente come abitazione privata, ma che reca ben
 visibili nella muratura del fianco resti romani di reimpiego, come esagonette pavimentali, mattoni, blocchi di selenite, e decorazioni romaniche, come un archetto mutilo e tamponato, decorato a scacchiera.
Da qui la strada risaliva la costa fra Idice e Quaderna, toccando Castel de'Britti, castello ricordato già nel 776, ma presso il Quale, nella valle, era esistito un insediamento romano di pregio, fra cui una villa con impianti produttivi rustici. Alla pieve di S.Giovanni di Pàstino i resti della chiesa con cripta ricordano la sua funzione itineraria; mentre il ritrovamento nei suoi pressi di svariate sepolture romane, fra cui la lastra scolpita con figura femminile di Ulpia Psiche, oggi al Museo Civico Archeologico di Bologna, prova la sua collocazione lungo un'arteria di grande traffico.
Nella vicina Settefonti l'abside della chiesa distrutta dalla guerra restituisce ancora mattoni manubriati romani, mentre nell'Ottocento uno scavo occasionale per lavori agricoli mise in luce nel campo presso Casa Torre un vero e proprio sepolcreto, purtroppo oggi disperso. Era possibile salire sul crinale anche da Ozzano , passando per il suo nucleo abitato originario di S. Pietro, dotato ancora di una torre di guardia dell'abitato, o da Varignana, dove la chiesa di S. Lorenzo mostra ancora spiccati caratteri romanici e una cripta unica nella storia dell'arte medievale bolognese. Il punto d'incontro di questi tracciati alternativi, fra cui elencheremo anche Maggio, dove la scomparsa pieve di S. Stefano era l'erede della città romana di Claterna, era Settefonti.
Il percorso seguente, a monte di Settefonti, toccava l'abbazia vallombrosana di Monte Armato, nella quale l'ospitalità ai poveri viandanti era regola di vita per i monaci. La vocazione alla gestione di veri e propri ospedali per viaggiatori per questa abbazia era evidente: nel 1161 ottenne l'ospedale di S. Giorgio del Ponte Santo, di Imola, poi, nel 1174, ebbe quello di Sellustra, sulla via Emilia nella valle omonima. Non bisogna però dimenticare che all'intento caritativo era unito anche il desiderio di controllare, tramite un punto chiave della viabilità, il traffico lungo la strada stessa, le elemosine degli ospitati, nonché patrimoni terrieri a volte ingenti.
Monterenzio  era un'altra tappa del cammino, dove all'inizio del Trecento funzionava un albergum, probabilmente una struttura privata di accoglienza a pagamento e dove anche oggi, nel centro moderno in fondovalle e non nell'abitato antico di crinale, conviene sostare per la prima tappa.
Dopo Monterenzio l'unico luogo dove nel Medioevo era possibile la sosta era lo Spedaletto, l'ospedale di S. Baltolomeo de Fiamenga, che oggi è una semplice casa colonica abbandonata ma che dal Medioevo fino alla fine del Settecento svolgeva questo importante compito di servizio alla viabilità, collocato com'era poi esattamente sul confine fra lo Stato Pontificio, la contea di Tossignano e il Granducato di Toscana. Ormai in vista del passo della Raticosa, un impressionante ofiolite, il Sasso di S. Zanobi, ricordava al viandante la leggenda della gara fra il santo vescovo fiorentino e il diavolo, gara di lancio dei macigni più grandi e pesanti, vinta dal santo, che in tal modo scacciò il diavolo da quelle contrade.
Il ritorno dal passo non è possibile con mezzi pubblici, mentre una corriera di linea si può prendere a Frassineta, scendendo dal crinale in corrispondenza del Parco provinciale La Martina, seguendo la strada di accesso al parco.
Fonte: www.provincia.bologna.it

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