Le uova, che un tempo
non si mangiavano durante la quaresima, si accumulavano in cucina per gli
impasti delle pagnotte e dei passatelli, per essere cotte sode (quelle
benedette) e servite a colazione al mattino di Pasqua, con la pagnotta. Prima
di mangiare si baciava l’uovo, si diceva un Pater-Ave-Gloria e si provvedeva a
buttar il guscio nel fuoco, manifestando lo stesso rispetto usato dalla massaia
per l’acqua di bollitura, che, considerata benedetta, si conservava come
detergente prodigioso della pelle .
Altrettanto
nel libro “La sacra tavola: il cibo e il
convivio nella cultura popolare romagnola” di Eraldo Baldini, si cita lo
storico De Nardis per descrivere minuziosamente la mattina di Pasqua e la
centralità dell’uovo nella tradizione romagnola:
“ Si mangia a digiuno l’uovo benedetto o lo si mangia
nella minestra che quasi sempre è la fiorita tritura (in dialetto la Tardura ovvero
la stracciatella a base di uova e formaggio grattugiato). Con le uova si
confezionavano i passatelli, un’altra tradizionale minestra pasquale (quando
essa non consistesse nei cappelletti). Si preparavano poi le pagnotte dolci e
la ciambella, si usavano da friggere impanandole con pezzetti di carne d’agnello. L’acqua
in cui erano cotte le uova sode di pasqua, pregna di forza sacro-magica e
rigenerativa, si conservava per farne uso terapeutico o la si spargeva nell’orto
in atto propiziatorio della fertilità; oppure in un eccesso di mistico rispetto,
la si gettava tra le siepi affinchè non fosse calpestata…
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